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21Feb2012
I piccoli agricoltori vedono il debito salire come un fiume in piena. Spruzzano la vite e non possono vendere l’uva perché il suo prezzo è troppo basso; potano e innestano e non possono vendere il vino perché il suo prezzo è troppo alto. Gli uomini di scienza hanno lavorato, disertato e deliberato, ma la frutta marcisce a terra o il mosto putrido nei tini avvelena l’aria. Assaggiate questo vino, ha gusto d’uva? Tutto solfo e alcool e acido tannico.
Vedi quest’orticello: l’anno venturo farà parte di una vasta tenuta perché il debito avrà strangolato l’attuale proprietario. Questa vigna è di proprietà della banca. Solo i grossi agricoltori possono sopravvivere oggi perché possiedono anche le fabbriche di frutta in conserva. E quattro pere, sbucciate, tagliate in mezzo, cotte e inscatolate, costano sempre quindici cents, e non si guastano, durano anni. E il putridume si propaga in tutto lo stato, e l’acre odore di marcia stende una grande tristezza sul paese. Gli uomini che sanno innestare e fecondare il seme non sanno trovare il mezzo he permetta agli affamati di mangiare i prodotti della terra. Gli uomini che hanno creato frutti nuovi non sanno creare il sistema che permetta ai loro frutti di venir mangiati. E il fallimento incombe sullo stato come una tragedia. Ciò che le radici della vite e degli alberi da frutto producono deve andare distrutto per consentire ai prezzi di mantenersi alti; e questa è la cosa più triste ed amara di tutte. Vagoni di arance rovesciati negli immondezzai. La gente accorre da grandi distanze per raccoglierle, ma è proibito. Se le si permette di prenderle gratis negli immondezzai, come sperare che le pagherebbe venti cents la dozzina? E i pompieri annaffiano le arance col petrolio, e inviperiti dal rimorso di tanto delitto inviperiscono contro il povero che viene a cogliere i frutti negli immondezzai. Un milione di individui affamati, bisognosi di frutta, e le montagne d’oro spruzzate di petrolio. E l’odore della marcia appesta il paese. Si brucia il caffé per fornire combustibile ai piroscafi. Si brucia il granoturco per riscaldamento. Si gettano le patate nel fiume, e si mettono le guardie per impedire ai poveri di ripescarle. Si sgozzano i maiali e li si sotterrano e si lascia che il putridume delle loro carni avveleni il suolo. Questi sono delitti che trascendono ogni denuncia. Queste sono tragedie cui il pianto non può rendere testimonianza; è un fallimento che annulla le più belle conquiste dell’umanità. La terra è ferace, gli alberi stanno ritti e sani in fila, i tronchi sono robusti, la frutta matura. Ma i bambini muoiono di pellagra perché da un’arancia il coltivatore non può trarre profitto; e il coroner scrive sull’atto di morte “morto per denutrizione” perché conviene lasciar marcire la frutta. I poveri accorrono con le reti per pescare le patate nel fiume, e le guardie li respingono; accorrono nei loro veicoli sgangherati per cogliere le arance, e le trovano imbevute di petrolio. E restano lì, a veder scorrere le patate nel fiume, a sentire gli strilli dei maiali sgozzati nei fossi e sepolti sotto la calce, a osservare le montagne d’oro liquefarsi in putrida broda. E gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un crescente furore.
Nei cuori degli umili maturano i frutti del furore e s’avvicina l’epoca della vendemmia.
(John Steinbeck, “Furore”, 1939)