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22Feb2012
Lettera al Padre Generale dei Gesuiti
Reverendo Padre, obbedisco agli ordini che Vostra Reverenza mi ha dato di presentarle i mezzi più adatti per liberare Gesù e la sua Compagnia dai loro nemici. Credo che non restino più di cinquecentomila ugonotti nel regno, qualcuno dice un milione, altri un milione e mezzo. Ma qualunque sia il loro numero, ecco la mia opinione, che, come è mio dovere, sottopongo molto umilmente alla vostra.
È facile catturare in un solo giorno tutti i loro predicatori e impiccarli tutti insieme nella stessa piazza, non solo per pubblico esempio, ma anche per la bellezza dello spettacolo. Farò assassinare nei loro letti tutti i padri e le madri, perché se fossero uccisi nelle strade, ciò potrebbe essere causa di un qualche tumulto; inoltre molti potrebbero salvarsi, cosa che soprattutto va evitata. Questa esecuzione è una conseguenza necessaria dei nostri principi: infatti, se si deve uccidere un eretico, come tanti fra i grandi teologi dimostrano, è evidente che bisogna ucciderli tutti. Il giorno dopo sposerò tutte le ragazze a dei buoni cattolici, considerato che non è opportuno che lo Stato venga troppo spopolato dopo l’ultima guerra. Ma per quanto riguarda i ragazzi di quattordici e quindici anni, già imbevuti di cattivi principi che non ci si può illudere di distruggere, il mio parere è che siano tutti castrati, in modo che la loro razza non si possa più riprodurre.
Per quanto riguarda gli altri bambini, saranno allevati nei vostri collegi e frustati fino a che non sappiano a memoria le opere di Sanchez e Molina. Penso, salvo errore, che si debba fare la stessa cosa con tutti i luterani dell’Alsazia, visto che nel 1704 ho osservato due vecchie di quel paese che ridevano il giorno della battaglia di Hóchstadt.
Per quanto riguarda i giansenisti, la cosa sembrerà forse un po’ più imbarazzante: credo infatti che siano circa sei milioni, ma un animo come il vostro non deve spaventarsene. Conto fra i giansenisti tutti i parlamentari, che sostengono in modo così vergognoso le libertà della chiesa gallicana. Spetta alla Reverenza Vostra di studiare, con la sua abituale prudenza, tutti i mezzi necessari per sottomettere questi spiriti intrattabili.
La “congiura delle polveri” non ebbe il successo desiderato, perché uno dei congiurati ebbe l’indiscrezione di voler salvare la vita a un amico; ma, dal momento che voi non avete nessun amico, non si deve temere che si verifichi lo stesso inconveniente: vi sarà facile far saltare tutti i parlamentari del regno con quell’invenzione del monaco Schwartz, che viene chiamata “polvere pirica”. Calcolo che servono l’una sopra l’altra trentasei tonnellate di polvere per ciascun Parlamento, e così, moltiplicando dodici Parlamenti per trentasei tonnellate, si hanno solo quattrocentotrentadue tonnellate, che, a cento scudi il pezzo, fanno 129.600 lire: è una bagattella per il Reverendo Padre Generale.
Una volta saltati i Parlamenti, affiderete i loro compiti ai vostri congregazionisti, che conoscono perfettamente le leggi del Regno. Sarà facile avvelenare il signor cardinale di Noailles, che è un uomo semplice che non diffida di nulla. Vostra Reverenza impiegherà gli stessi mezzi di conversione verso alcuni vescovi renitenti; i loro vescovati saranno consegnati nelle mani dei gesuiti, per mezzo di un ordine papale: allora, stando tutti i vescovi dalla parte della buona causa e tutti i curati essendo scelti abilmente dai vescovi, ecco cosa vi consiglio, con il beneplacito della Reverenza Vostra.
Dal momento che si dice che i giansenisti si comunicano almeno a Pasqua, non sarebbe male spolverare le ostie con la droga di cui ci si servì per fare giustizia dell’Imperatore Enrico VII. Può darsi che qualche critico mi dica che si rischierebbe in questa operazione di far fare la morte dei topi anche a dei molinisti. Questa obiezione è seria. Ma non c’è progetto che non abbia degli inconvenienti; non c’è sistema che non minacci in qualche punto di rovinare. Se ci si lasciasse fermare da queste piccole difficoltà, non si verrebbe mai a capo di niente; d’altronde, dal momento che si tratta di procurarsi il maggior bene possibile, non bisogna scandalizzarsi se questo grande bene porta con sé qualche cattiva conseguenza, priva di ogni importanza.
Non abbiamo niente da rimproverarci: è dimostrato che tutti i sedicenti riformati, tutti i giansenisti sono destinati all’inferno; così non facciamo altro che affrettare il momento in cui ne devono entrare a far parte. Non è d’altra parte meno chiaro che il paradiso appartiene di diritto ai molinisti: dunque, facendoli morire per errore e senza alcuna cattiva intenzione, noi acceleriamo la loro beatitudine; in un caso o nell’altro siamo ministri della Provvidenza.
Quanto a quelli che potrebbero essere impressionati dal numero, la Vostra Paternità potrà far loro notare che dai giorni fiorenti della Chiesa sino al 1707, vale a dire per circa millequattrocento anni, la teologia ha causato lo sterminio di più di cinquanta milioni di uomini: io invece propongo di impiccarne, o sgozzarne, o avvelenarne solo sei milioni e mezzo circa. Può darsi che si obietti ancora che il mio conteggio non è giusto, e che violo la regola del tre: perché, si dirà, se in millequattrocento anni non sono periti che cinquanta milioni di uomini a causa di distinzioni, dilemmi e antidilemmi teologici, ciò non fa che 35.714 persone per anno con resto, e che così io uccido 6.464.285 persone, più resto, di troppo nel presente anno. Ma in verità questo rimprovero è molto puerile; si può addirittura dire che è empio: non si vede infatti che con il mio sistema salvo la vita a tutti i cattolici sino alla fine del mondo? Non si finirebbe mai, se si volesse rispondere a tutte le critiche.
Con profondo rispetto della Paternità Vostra, umilissimo, devotissimo e dolcissimo R. nativo di Angouléme, Prefetto della Congregazione.
(lettera scritta al Padre Generale dei Gesuiti Michel Le Tellier da un beneficiario, il 6 maggio 1714)