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21Feb2012
Illustrerò i principi di vita che ci hanno diretti a tanta potenza, e la costituzione e i costumi civili in virtù dei quali s’è potuta estendere e consolidare. Poiché non solo stimo opportuno in questo momento ripercorrere quei temi, ma anche utile per la folla qui riunita dei concittadini e dei forestieri porgervi ascolto.
Il nostro ordine politico non si modella sulle costituzioni straniere. Siamo noi d’esempio ad altri, piuttosto che imitatori. E il nome che gli conviene è “democrazia”, governo nel pugno non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini. Vige anzi per tutti, da una parte, di fronte alle leggi, l’assoluta equità di diritti nelle vicende dell’esistenza privata; ma dall’altra si costituisce una scala di valori fondata sulla stima che ciascuno sa suscitarsi intorno, per cui, eccellendo in un determinato campo, può conseguire un incarico pubblico, in virtù delle sue capacità reali, più che nell’appartenenza a questa o a quella fazione politica. Di contro, se si considera il caso di un cittadino povero, ma capace di operare un ufficio utile allo Stato, non gli sarà d’impedimento la modestia della sua condizione.
Nella nostra città, non solo le relazioni pubbliche s’intessono in libertà e scioltezza, ma anche riguardo a quel clima di guardinga, ombrosa diffidenza che di solito impronta i comuni e quotidiani rapporti, non si va in collera con il vicino, se fa un gesto un po’ a suo talento, e non lo si annoia con visi duri, sguardi lividi, che senza voler esser un castigo, riescono pur sempre molesti. La tollerante urbanità che ispira i contatti tra persona e persona diviene, nella sfera della vita pubblica, condotta di rigorosa aderenza alle norme civili dettata da un profondo, devoto rispetto: seguiamo le autorità di volta in volta al governo, ma principalmente le leggi, e più tra esse quante tutelano le vittime dell’ingiustizia e quelle che, sebbene non scritte, sanciscono per chi le oltraggia un’indiscutibile condanna: il disonore.
Non solo, ma anche abbiamo creato per lo spirito occasioni numerose di svago dai quotidiani sacrifici, istituendo giochi e solennità religiose in tutto l’arco dell’anno, arredando con eleganza le nostre abitazioni, il cui quotidiano godimento fa svanire, giorno per giorno, ogni tetro pensiero. Da tutte le contrade del mondo, l’importanza della nostra città richiama prodotti d’ogni specie, onde ci sorride la fortuna di poter cogliere i frutti del nostro suolo, e ritrovarvi gioiosamente un gusto non più familiare e intimo di quelli che affluiscono da paesi lontani.
Ecco le differenze tra i nostri metodi di preparazione alla guerra e gli avversari. La città accoglie tutti, senza provvedimenti d’espulsione per segregare i forestieri da qualche nostro segreto, morale o materiale, che diffuso e caduto sotto gli occhi di un eventuale nemico lo potrebbe gratificare d’un vantaggio. La nostra fiducia rampolla dall’ardimento che sappiamo esprimere nell’azione, più che nella forza di perfetti e astuti preparativi.
Nel campo educativo, i nostri avversari si studiano con pesanti esercizi, fin dalla prima età, di conseguire il coraggio; mentre da noi la vita sciolta e indipendente ci permette non meno di affrontare ad armi pari qualunque lotta. Lo dimostro: mentre gli Spartani non procedono da soli all’invasione della nostra terra, ma convocano la loro lega al completo, noi quando attacchiamo un nemico esterno, lo superiamo senza produrre uno straordinario sforzo, pur combattendo in terra forestiera e contro uomini che difendono le loro proprietà. Inoltre, nessun nemico si è mai trovato di fronte le nostre forze armate al completo: poiché badiamo a man tenere in efficienza una flotta da guerra e contemporaneamente a dirigere su svariati bersagli nemici, per via di terra, molti nostri eserciti. Se si accende uno scontro con un nostro reparto e questi pochi cedono, si conclama la nostra totale disfatta. Ma se resistono, allora la vittoria è opera di tutte le nostre forze unite. Eppure, se ci disponiamo a contrastare i pericoli, agili di spensierato abbandono più che gravi di esercizi e fatiche, forti di un ardire sorgivo libero frutto dei nostri principi vitali più che di leggi né nasce per noi il guadagno di non piegarci in anticipo allo sgomento dei sacrifici futuri e, nel fuoco dell’impegno, di non mostrarci meno valorosi di coloro la cui esistenza è un tormentoso susseguirsi di prove.
Per questi e per molti altri diversi motivi la nostra è una città degna di meraviglia.
(Tucidide, “Discorso di Pericle agli Ateniesi”, 461 a.C.)